Consultazione pareri
Codice identificativo: | 400 |
Data ricezione: | 04/09/2024 |
Argomento: | Altro |
Oggetto: | Tempistiche pagamento |
Quesito: | Il Decreto Legislativo del 09 ottobre 2002 nr. 231, attuazione della direttiva 2000/35/CE prevede il pagamento delle fatture per tutti gli enti pubblici entro il termine di 30 giorni, derogando solamente per gli Enti del Servizio sanitario nazionale per i quali è possibile pagare le fatture entro il termine di 60 giorni dal ricevimento. Con la presente chiediamo un chiarimento rispetto alla normativa soprarichiamata, in particolare quali Enti rientrino nel comparto "Enti del servizio sanitario nazionale" e se le Aziende Pubbliche di servizi alla Persona, come questo Ente, possano essere annoverati tra quel comparto, visto che eroga sia servizi di sanitari che assistenziali. |
Risposta: | Per rispondere correttamente al quesito va tenuto presente che, in tema di ritardo dei pagamenti di transazioni commerciali con specifico riferimento a pubbliche amministrazioni, il riferimento di fondo è costituito dal comma 4 dell’articolo 4 della Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2011 (che ha sostituito la precedente Direttiva 2000/35/CE) che stabilisce che “Gli Stati membri possono prorogare i termini [di 30 giorni con le decorrenze ivi previste, ndr] di cui al paragrafo 3, lettera a), fino ad un massimo di sessanta giorni di calendario per: a) … b) enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tal fine”. La ragione che ha ispirato la Direttiva comunitaria del 2011 (a differenza della Direttiva del 2000 che non ne faceva cenno) a prevedere la facoltà di aumento dei termini nel caso di enti pubblici di assistenza sanitaria è ben illustrata nel preambolo al punto 25 dove si legge che “Per quanto riguarda i ritardi di pagamento, particolarmente preoccupante è la situazione dei servizi sanitari in gran parte degli Stati membri. ... Per tutti i sistemi si pone il problema di stabilire priorità nell’assistenza sanitaria in modo tale da bilanciare le esigenze dei singoli pazienti con le risorse finanziarie disponibili. Gli Stati membri dovrebbero quindi poter concedere agli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria una certa flessibilità nell’onorare i loro impegni. …”. La facoltà di proroga prevista dalla norma comunitaria appena citata è stata recepita, nell’ordinamento nazionale, con il D.Lgs. menzionato il cui articolo 4 è stato integralmente riformulato con il D.Lgs. 9 novembre 2012, n. 192 e che, attualmente, dispone al comma 5: 5. I termini di cui al comma 2 [che riproduce in sostanza i termini della direttiva comunitaria, ndr] sono raddoppiati: a) …; b) per gli enti pubblici che forniscono assistenza sanitaria e che siano stati debitamente riconosciuti a tale fine”. Il raddoppio dei termini, come appare evidente dalla disposizione statale, è sottoposto ad una triplice condizione: a) che riguardi debitori che abbiano la natura di “ente pubblico” (elemento soggettivo); b) che tali debitori forniscano “assistenza sanitaria” (elemento oggettivo); c) che essi siano stati anche “debitamente riconosciuti a tale fine” (elemento formale). Per quanto attiene al primo elemento, cioè alla natura di “ente pubblico”, è indubbio che tale veste riguardi anche le APSP in virtù di quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 2 della L.R. 7/2005 che attribuisce esplicitamente ad esse “personalità giuridica di diritto pubblico” con la l’ulteriore precisazione che esse sono “enti pubblici non economici”. Riguardo al secondo aspetto, la promiscuità dell’attività è sancita dal comma 2 del medesimo articolo 2 che stabilisce, al primo periodo, che “Le aziende sono inserite nel sistema integrato di interventi e servizi sociali e socio-sanitari”: da qui si ricava che, in effetti, le APSP sono inserite in un sistema articolato di attività avente, da un lato, veste “socio-assistenziale” e, dall’altro, anche “socio-sanitario”. Questa duplicità consente, pertanto, di poter affermare che le APSP, a seconda della veste in cui operano, possono agire sia nell’ambito dell’una che dell’altra delle due attività: solo nel caso in cui operino per finalità sanitarie il termine risulta raddoppiato, mentre nel caso in cui operino per finalità socio-assistenziale il raddoppio del termine non risulta applicabile e questo è appunto l’aspetto problematico messo in evidenza nel quesito che si rivela, pertanto, pienamente giustificato. Per quanto attiene al terzo aspetto, di particolare rilievo è il terzo periodo del comma 2 dell’articolo 2 citato che stabilisce che “L’attività socio-sanitaria delle aziende pubbliche di servizi alla persona a carico del fondo sanitario, una volta che queste sono state autorizzate e accreditate dal servizio sanitario provinciale, viene svolta tramite la stipulazione degli accordi contrattuali con le aziende sanitarie locali delle due province”: questo significa che l’imputazione all’attività socio-sanitaria avviene sulla base di detto dato formale in quanto, in provincia di Trento, la competenza ad effettuare l’accreditamento delle strutture sanitarie (di cui all’articolo 22 della l.p. 23 luglio 2010, n. 16 e del D.P.G.P. 27 novembre 2000, n. 30-48/Leg con particolare riferimento al paragrafo 5.4 della Parte I) spetta alla PAT ai sensi dell’articolo 9, punto 10) dello Statuto speciale di autonomia essendo detta attività riconducibile alla materia “igiene e sanità, ivi compresa l'assistenza sanitaria e ospedaliera”. Pertanto: a) ove l’APSP agisca in funzione dello svolgimento dell’attività socio-sanitaria per la quale risulta accreditata, nei suoi confronti trova applicazione il regime dei termini di cui al comma 5 dell’articolo 4 del D.Lgs. 231/2002, con conseguente raddoppio dei termini di pagamento a 60 giorni; b) ove l’APSP agisca in funzione dello svolgimento dell’attività socio-assistenziale, nei suoi confronti non trova applicazione il regime di cui al comma 5 dell’articolo 4; tuttavia, si rammenta che, comunque, anche tale ente può, per effetto di quanto previsto dal comma 4 del medesimo articolo 4, incrementare i termini fino ad un massimo di 60 giorni con la differenza che, in questo caso, l’aumento non è automatica conseguenza di una previsione normativa, bensì di una clausola contrattuale specifica sorretta da adeguata motivazione atta a dimostrare che l’incremento “sia oggettivamente giustificato dalla natura particolare del contratto o da talune sue caratteristiche”. Sulla base di quanto esposto, si ritiene che nel caso in cui il pagamento non sia specificamente connesso all’attività socio-sanitaria (ad esempio perché si tratta di spesa di natura promiscua: cancelleria, altre spese generali, manutenzione immobili etc.) trovi applicazione la disciplina dei pagamenti di cui al comma 4 e, pertanto, l’eventuale prolungamento fino a 60 giorni è consentito previa adeguata motivazione come sopra esposto. Risulta, infine, doveroso evidenziare che anche la disciplina dei contratti pubblici si è allineata (seppure con qualche criticità in passato) alla Direttiva del 2017. Peraltro, anche se la vigente disposizione (l’articolo 125 del D.Lgs. 36/2023) non prevede espressamente il raddoppio del termine per gli enti pubblici del sistema sanitario, è da ritenere che tale possibilità, prevista dall’articolo 4 del D.Lgs. 231/2002, abbia natura speciale e, dunque, prevalente rispetto al D.Lgs. 36/2023 fermo restando che si dovrà, al riguardo, porre attenzione ad eventuali prassi applicative o giurisprudenziali (attualmente non rilevate) o modifiche normative che possano comportare la necessità di rivedere quanto appena esposto. |
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